venerdì 6 aprile 2012


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Si va avanti, Non ci si ferma, Non si pensa che tanti bambini, donne e anziani potrebbero bruciare vivi, non interessa, 
intanto sono solo Rom o Sinti

Inizio.






5 minuti dopo


SGOMBERI FORZATI E STRANI ROGHI

E’ ancora successo. E’ stranamente andato in fiamme l’insediamento rom di via Sacile a Milano, all’alba di ieri. Nel silenzio generale. Come nel caso del recente incendio del campo del Parco della Marinella a Napoli, anch’esso valutato “accidentale” (malgrado fosse avvenuto a poca distanza da una manifestazione organizzata dal Pdl contro di esso). Come se fosse normalmente “accettato” che i campi rom vadano a fuoco in questo Paese. Una strana catena di fatti: campagna popolare contro i cosiddetti “nomadi”, interventi repressivi, incendi… Spesso perché al suo posto è previsto un centro commerciale, nel caso milanese, il prolungamento della strada Paullese e di un condotto fognario. Un rogo forse non del tutto casuale quindi, in altre parole l’imposizione delle leggi del mercato con la forza contro il suo “anello debole”?
I circa 300 abitanti di via Salice si erano insediati in queste condizioni inaccettabili, senza acqua né luce, non per scelta, ma perché spostati e “sgomberati”, alcuni più di 5 volte, dalla Giunta precedente; che in 5 anni ha effettuato circa 450 sgomberi a Milano. La precarietà abitativa dei rom è il prodotto di sgomberi ripetuti, senza alcun piano di azione. Le associazioni milanesi della Federazione Rom e Sinti chiedono al Comune un progetto e una soluzione abitativa duratura, come spiega Dijana Pavlovic, attrice e mediatrice culturale rom.
Il caso di Milano non è però isolato. Dal 2007 a oggi, l’escalation di politiche discriminatorie nutrite di antiziganismo è una realtà preoccupante che spesso non è raccontata dai media. Sui Rom e Sinti, come gruppo, sono piovute le cosiddette misure di “emergenza” del “pacchetto sicurezza”, alcune esplicitamente discriminatorie: censimenti in insediamenti abitati esclusivamente da Rom, raccolta non volontaria delle impronte digitali, strapotere conferito ai Prefetti. Leggere: espulsioni e arresti, smantellamenti di tutti i loro campi e abusi quotidiani dalle forze dell’ordine.
Come notava il Rapporto 2012 sull’Italia della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI): “Per i campi autorizzati, la pratica dominante è ancora quella di relegare i Rom in aree lontane dai centri urbani, il che equivale a una segregazione, stigmatizza le persone e pone seri problemi per la loro integrazione; per quanto riguarda i campi abusivi, le condizioni sanitarie sono particolarmente deplorevoli. In molte città si è assistito a demolizioni dei campi abusivi e a sgomberi forzati e pare che il loro numero sia aumentato dal 2008, il che peggiora la discriminazione contro i Rom in altri settori della loro vita”.
L’Ecri puntava il dito sulla radice del problema: la relazione che esiste tra le decisioni adottate dai politici e il clima molto negativo rispetto ai rom. E’, infatti, nel linguaggio che si rafforzano i pregiudizi esistenti. Nell’uso improprio della parola “nomadi”, per etichettare cittadini che per la metà sono italiani e appartengono a gruppi che vivono in Italia da secoli. Nel uso dei termini “catapecchie” o “favela” (Leggo); ma il lessico peggiore si legge nelle dichiarazioni di de Corato Pdl: “campo nuovamente ripopolato di nomadi abusivi” (Asca); in un crescente linguaggio guerriero che lascia intendere che sarebbe in corso una guerra tra istituzioni “intitolate” allo “sgombero” di fronte ad una pseudo “invasione” barbara, una presunta minaccia per la pubblica sicurezza. Le parole si sa, sono armi. Combattere l’uso di discorsi xenofobi e anti-rom da parte di esponenti politici, come raccomanda l’Ecri alle autorità italiane dal 2006, è ormai urgente…

LUnità 
05 aprile 2012

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giovedì 5 aprile 2012


RAZZISMO,
 ONU  “PREOCCUPATI CHE IN ITALIA NON CI SIA UN’ISTITUZIONE INDIPENDENTE DI MONITORAGGIO 

L’intervento di una componente della Commissione Onu per l’eliminazione delle discriminazioni razziali al convegno “Mediamente diversi” organizzato dall’Unar presso la Presidenza del Consiglio

Roma – “Siamo molto preoccupati che in Italia non abbiate un’istituzione indipendente a livello nazionale che opera sotto l’Onu. Non avete buoni meccanismi per misurare queste problematiche che colpiscono le minoranze”. E’ quanto ha affermato Anastasia Crickley, componente del comitato Cerd Onu nel corso di “Mediamente Diversi”, un convegno europeo su giornalismo e immigrazione. “Nei media, rom, sinti e camminanti sono considerate persone per cui non si applicano le regole, si giustifica di parlarne in maniera non corretta – ha detto – i dati del censimento dei rom sono stati raccolti a volte in maniera discriminatoria e devono essere cancellati, questo era stato promesso, però se da parte nostra se non riusciamo a fare delle misurazioni non riusciamo a rispondere di quello che scriviamo.
Sulla situazione dei rom e dei sinti, anche quelli che sono cittadini sono segregati”.





PER IL GOVERNO E ANCORA "EMERGENZA NOMADI" RICORSO CONTRO IL CONSIGLIO DI STATO


Il governo Monti chiede di annullare la sentenza del Consiglio di Stato con cui lo scorso novembre è stata dichiarata illegittima l’emergenza nomadi su tutto il territorio italiano. Il ricorso è stato presentato il 15 febbraio alla Corte suprema di Cassazione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, nella persona del Presidente del Consiglio, dal dipartimento della Protezione civile, dal ministero dell’Interno e dalle Prefetture di Roma, Napoli e Milano rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato. Secondo il documento “la sentenza del Consiglio di Stato non appare conforme a diritto nella parte in cui ha annullato il D.P.C.M. 21/5/2008 dichiarativo dello stato di emergenza e, di conseguenza, tutti gli atti adottati su quel presupposto”. Secondo il governo, quindi, i motivi del ricorso sono da individuare nell’ “eccesso di potere giurisdizionale” del Consiglio di Stato “per esercizio del sindacato di legittimità esteso alle valutazioni di merito riservate all’autorità amministrativa”, in relazione agli articoli 111 della Costituzione e 110 del codice del processo amministrativo. La sentenza n. 6050/2011 del 16 novembre del Consiglio di Stato sembrava aver messo fine ad una vicenda iniziata con una decisione del Tar del Lazio (n. 6352/2009) che nell’estate 2009 aveva accolto in parte il ricorso presentato dall’associazione per la difesa dei diritti dei rom European Roma Rights Centre Foundation e da due abitanti del Casilino 900, Herkules Sulejmanovic e Azra Ramovic, contestando i rilievi segnaletici, ma sottolineando tuttavia la necessità di “fronteggiare la situazione con mezzi e poteri straordinari”, quindi non accogliendo il ricorso sullo stato d’emergenza. La pronuncia del Tar fu successivamente sospesa per arrivare ad una sentenza del massimo grado della giustizia amministrativa alla fine dello scorso anno. A quanto pare, però, la partita non è chiusa. Secondo i ricorrenti, “la dichiarazione di emergenza è un atto di alta amministrazione”. Per questo, spiega il testo, il ruolo del Consiglio di stato, “non poteva spingersi al di là della verifica di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una motivazione che apparisse congrua, coerente e ragionevole”. La dichiarazione dello stato di emergenza, secondo il testo “si fondava su elementi oggettivamente verificabili ponendosi come fase terminale di un’intensa, pregressa, serie di iniziative, non risolutive dei problemi evidenziati, poste in essere in particolare dai Prefetti delle province interessate”. Per tali ragioni, spiega il testo, il decreto del 21 maggio 2008 è “ampiamente motivato” e “certamente legittimo”, poiché l’emergenza, “era radicata su un’oggettiva situazione di pericolo, sotto il profilo igienico sanitario, socio-ambientale e della sicurezza pubblica, connessa all’insediamento, nel contesto urbano e nelle aree circostanti, di baraccopoli e campi abusivi”. Sul mancato preventivo ricorso a misure amministrative ordinarie, sottolineato dal Consiglio di Stato, i ricorrenti affermano che è stata trascurata “la mole di documenti” che dimostrano come le istituzioni centrali e locali stessero potenziando “le forme ordinarie di coordinamento tra gli organi investiti di responsabilità a diversi livelli sul territorio individuando anche la figura di un Commissario straordinario quale strumento idoneo a superare l’emergenza”, mentre gli strumenti ordinari “erano stati adottati infruttuosamente”. Il ricorso è stato presentato alcuni giorni prima della consegna da parte governo italiano alla Commissione europea della strategia nazionale per l’inclusione di rom, sinti e caminanti stilata dal ministro per la Cooperazione internazionale e per l’Integrazione, Andrea Riccardi. Lo stesso ministro, il 24 gennaio scorso nell’annunciare il piano ha affermato che “occorre uscire dalla logica emergenziale ed entrare in una fase di integrazione”. Una posizione ribadita anche nel testo della relazione al Consiglio dei ministri sulla strategia, dove in merito alla questione abitativa si propone il “superamento definitivo di logiche emergenziali”. Sulla questione è intervenuto anche il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, che figura tra i ricorrenti. Ad una interrogazione a risposta immediata (n.3-02153) della deputata dei Radicali Rita Bernardini lo scorso 7 marzo, Cancellieri ha affermato che “non rilevandosi più ragioni per rinnovare lo stato d’emergenza, il governo ha approvato e trasmesso alla Commissione europea un piano contenente una strategia complessiva relativa a rom, sinti e camminanti volta a favorire politiche inclusive di integrazione”. Il Piano, però, tra i fondi necessari alla sua realizzazione, fa riferimento anche a quelli residui stanziati per l’emergenza. Uno degli “assi di intervento” della strategia, infatti, prevede l’attivazione di “Piani locali per l’inclusione sociale utilizzando le risorse provenienti dalla trascorsa emergenza commissariale non impegnate”. Lecito domandarsi, quindi, se tali fondi avanzati verranno ancora destinati all’integrazione qualora la sentenza del Consiglio di Stato venisse annullata.